Ventiquattro ore dopo la violenta scossa di terremoto che ha sepolto i
lavoratori emiliani sotto i fragili capannoni nel quale lavoravano, viene da
chiedersi perché fossero lì dentro a lavorare e non all’aperto, al riparo, al
sicuro. Alcuni di loro sono usciti per paura dalla azienda nella quale
lavoravano, ma sono stati subito riportati dentro dal padrone di turno che non
vedeva di buon occhio il fatto di fermare il lavoro anche solo per una decina
di minuti. Il problema, senza dilungarci troppo nella questione già ampiamente
trattata sulle maggiori testate giornalistiche (in vario modo, più o meno
corretto e veritiero) è che i capannoni crollati erano stati costruiti in
economia, senza spendere un euro di più per la sicurezza e la salute di chi ci
lavora 8-9 ore al giorno. Ci è stato detto da qualcuno che sotto le macerie
oltre agli operai c'erano anche alcuni imprenditori. A noi del PSdA questa cosa
non risulta. Risultano invece le telefonate fatte dai vari signori imprenditori
ai propri operai. Telefonate che intimavano agli operai di rientrare subito al
lavoro. Si spiega da solo il cartello affisso alla cancellata di una azienda da
un imprenditore: "C’è stato il terremoto, ma la vita continua. Chi vuole
lavorare lavori. Tutti gli altri possono prendersi le ferie. Liberissimi di
farlo”. A pagare per la morte dei lavoratori devono essere i costruttori di
questi capannoni, ma più di tutti chi ha garantito la loro agibilità. Un peso
enorme che grava e graverà per sempre sulle spalle dei nemici del popolo
italiano.
Il Direttivo Nazionale
Partito Socialista d'Azione
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